11 luglio 2009

quel buco da riempire


Inizialmente ho pensato ad una delle solite dissociate mentali, di mezza età, che camminano guardandosi i piedi e parlando con un amico immaginario, ovviamente con aria stizzita, gesticolando e borbottando parole mai complete.
E mica a bassa voce….del resto è nel mezzo di una lite con i fiocchi, lo si vede da come tiene stretta tra le dita la sigaretta che va consumandosi più per il movimento circolare che la mano compie ripetutamente che per l’atto di aspirazione del fumo.

Mi sento osservato da dietro la vetrina.
Non so come, ma anche se sono occupato al pc e la testa china “dentro” lo schermo sembra indifferente al mondo circostante, percepisco il suo sguardo che oltrepassa il vetro, supera le sculture che indifferenti al passaggio della gente esterna si fanno bellamente i cazzi propri raccontandosi chissà quali storie.
Il suo sguardo di dissociata in pausa di riflessione – credo che l’amico immaginario ( o forse sono io a non vederlo) si sia preso una pausa caffè al bar, in fondo alla via – mi costringe ad alzare gli occhi dal pc, incontrare i suoi.
Istintivamente, come un gesto ormai automatico, abbozzo un sorriso – che spero non risulti totalmente da idiota – e saluto con un cenno del capo, riportando poi il mio sguardo al computer.
Ho imparato che se ti soffermi per più di mezzo secondo a guardare la persona all’esterno della vetrina, l’imbarazzo – il suo intendo – la costringerà a scomparire o a cercare qualche gesto, qualche parola che non sentirò attraverso il vetro, per poi precipitarsi scusandosi a gesti, vero altre mete.
Se commetti questo errore, stai pur certo che la persona non entrerà mai, convinta forse di essere assalita da venditori porta a porta affamati.
Eredità che ci portiamo dai tempi in cui ci trovavamo con le case colme di volumi di enciclopedie!
Ho pertanto sviluppato un codice di comportamento silenzioso e a gesti che il più delle volte tranquillizza il visitatore e lo spinge ad entrare, senza sentirsi obbligato ad un acquisto.
Il mio comportamento sembra dire – se ti va di entrare fai pure, che tanto ho altro da fare e non perderò tempo a rincorrerti per venderti qualcosa.
E così succede, puntualmente.
Varcano la soglia, accettano volentieri il mio saluto sempre cortese – spesso in italiano, o in inglese se capisco che non sono italiani.
Vorrei poterli salutare in tutte le lingue – non nello stesso momento, come uno scioglilingua incomprensibile – ma il mio vocabolario dei saluti si riduce a poche parole, inglese, tedesco, spagnolo, francese.
Oltre il saluto non vado, tranne che per l’inglese.
Appena sono dentro la sala li lascio gironzolare tra le proposte e torno al mio pc.
Quando hanno la certezza che non saranno assaliti, si rilassano e si soffermano con più interesse ad osservare le opere esposte, senza dover tenere a portata di vista – e di movimento – l’uscita.
Ogni tanto sollevo lo sguardo dal mio lavoro – sembro sempre occupatissimo, anche quando in realtà sto visitando blog o sto scrivendo qualche pagina di deliri immaginari – per verificare che non abbiano bisogno di informazioni e/o consigli per gli acquisti ( che fa tanto Maurizio Costanzo).

La dissociata è ancora davanti alla vetrina, e mi sta guardando dubbiosa sul da farsi – la vedo senza dover incrociare i suoi occhi, riflessa nella porta d’ingresso.
C’è un bellissimo gioco di riflessi tra le vetrine e le porte che spesso mi consentono di vedere cosa accade senza dover necessariamente interagire con gli sguardi esterni.
Riesco soprattutto, attraverso il riflesso di una porta a vetri, vedere chi da lontano, sta salendo la strada per venire verso me, e in quel caso so con anticipo se sta giungendo qualche amico, qualche probabile cliente,o , TERRORE! , i soliti pedanti visitatori che non saranno mai clienti ma che mi hanno preso come tappa quotidiana per sfogare le proprie frustrazioni e per raccontarmi le mille malattie di cui sono affetti.
La lista può essere infinita:
nell’arco di poco tempo ho collezionato storie improbabili di ginocchia della lavandaia, fuochi vari di S.Antonio, per non parlare di vene varicose e operazioni stomachevoli.
Il culmine è stato un signore che mi ha raccontato nei dettagli la sua operazione di emorroidi, fortuna che sono entrati altri clienti prima che si calasse le mutande e mi mostrasse l’opera del chirurgo!
Tornando alla nostra visitatrice, vedo che titubante varca la soglia ed entra.
La saluto cordialmente e ricevo come risposta un timido sorriso.
Deve aver lasciato fuori l’amico immaginario perché improvvisamente sembra aver interrotto il suo dialogo solitario.
Gironzola nella sala guardando con attenzione le opere esposte.
Ad un certo punto vedo che mi guarda – segnale inequivocabile che vuole dire qualcosa o si aspetta che sia io a fare il primo passo – fermandosi nel centro della stanza, comunque in posizione di sicurezza, vicino all’ingresso.
Non sia mai che mi veda spiccare un volo dalla mia scrivania e come un lupo mannaro, aggredirla violentemente.
Le chiedo se posso aiutarla e sembra titubare qualche secondo prima di espormi la sua richiesta.
Cerco un quadro rettangolare – mi dice – ma vedo che sono quasi tutti quadrati.
Suona come un’accusa.
Le chiedo se ha visto qualche stile o qualche autore particolare, in modo da poterle proporre quello che ho di quell’artista, ovviamente nel formato rettangolare.
Non saprei – prosegue guardandomi con compassione come se fossi un cerebroleso – lo voglio rettangolare!
Ok, mia cara signora, questo punto è chiaro.
Cerco di sondare se predilige un quadro ad olio, ad acquarello o una stampa digitale.
Le chiedo se ha predilezione per un soggetto piuttosto che un altro.
Mi spingo a chiederle in che tipo di ambiente intende collocarlo per poterle proporre opere idonee.
La guardo sorridendo e leggo nei suoi occhi chiaramente il suo pensiero, come se fosse una scritta scorrevole con i led rossi, che passa da sinistra a destra come le quotazioni della borsa sui palazzi di New York “….. brutto idiota che non sei altro….. voglio un quadro rettangolare….ma sei proprio ottuso a non capire una cosa così ovvia …..”

Cominciano a prudermi le mani.

Cerco di concentrarmi raccogliendo tutta la calma e i pensieri zen che non ho mai avuto e le mostro i quadri rettangolari che ho in galleria.
Mi chiede i prezzi indistintamente di tutti.
Questo è troppo lungo , quello troppo corto, quello troppo spesso, quello troppo sottile
Nessun commento sul soggetto.
Ovviamente, visto che mi ha fatto prendere le misure di ogni quadro, metro alla mano, le suggerisco che se mi dice la misura che cerca posso aiutarla meglio.

Sorride.
Non me lo dice.

Mi saluta cortesemente e fa per andarsene.
Prima di uscire definitivamente si volta verso di me.

ho un buco da riempire, dentro una vecchia cornice. Ma lei ha delle misure sbagliate.
Ripasserò
.

La osservo scendere lungo la strada.
Annoto mentalmente di dovermi procurare opere di formati giusti, non posso perdere una cliente per questione di cm.
Abbasso la saracinesca e lancio un’ultima occhiata alle pareti della galleria.
E’ vero, osservo, ho quasi solo opere quadrate.










29 giugno 2009

ci sono giorni


Ci sono giorni colorati,
quelli in cui ti svegli con la luce negli occhi e tanta voglia di creare, di pensare, di tuffarsi in nuovi progetti, nuove emozioni.
I giorni colorati sono schizzofrenici, perché come nel movimento delle lenti di un caleidoscopio, le forme ed i colori si inseguono all’impazzata. E dietro alle luci, si rincorrono le parole, che arrancano verso i pensieri - decisamente più veloci.
Talvolta pensieri e parole si mischiano in origami mentali, e non sai mai quale sia il risultato finale.
Forse è anche questo un sintomo della creatività.
O forse solo follia.

Ci sono giorni grigi,
quelli in cui ti sembra di avere un qualcosa lasciato in sospeso, parole non dette, pensieri non definiti.
Non sono esattamente giorni tristi, ma piuttosto giorni malinconici.
Nei giorni grigi ti perdi a seguire le nuvole scure che si muovono all’orizzonte.
Fuori e dentro te.
Ti sembra di udire delle note in lontananza, negli angoli profondi della memoria.
Suoni di melodie antiche, forse mai ascoltate.
Nei giorni grigi i libri chiamano con insistenza, quasi a volerci offrire un rifugio.
O semplicemente un pretesto.
Le pagine ingiallite ondeggiano, mosse dai sussulti di antiche presenze.

Ci sono i giorni immobili,
quelli in cui iniziano con la speranza che finiscano presto.
Dove tutto appare lento, pesante, strisciante.
Dove ogni gesto, ogni vibrazione, ogni pensiero, non ha nessun significato, nessun senso, nessuna emozione.
Sono i giorni peggiori, dove l’indifferenza prende il sopravvento, e avvolge l’anima in un giallo sudario.

Ci sono giorni che sanno di sabbia.
Non quella soffice e calda delle spiagge, ma quella vitrea che ti scorre nelle vene, che ti graffia gli occhi, ti asciuga la gola.
Sono i giorni in cui vorresti gridare la tua rabbia, vorresti poter avere un minimo di potere per cambiare ciò che ti disgusta.
E ti ritrovi inesorabilmente con il gusto salato sulla lingua, la pelle arida, l’anima accartocciata.

Ci sono giorni di ricordi,
non soltanto i tuoi, ma quelli che abbiamo tatuati nella memoria.
Sono i giorni in cui la realtà si fonde con la letteratura, con parole scritte da altri ma che vorremmo aver pensato noi.

Ci sono giorni di catrame,
dove ogni parola udita, letta, pensata, ti si appiccica come nera pece fusa.
E non basta scorticarti con le unghie, raschiarti la pelle con infinite lamette.
Le parole, soprattutto quelle crude, quelle dure, ti si infiltrano tra le cellule.
Nei giorni di catrame ti senti arido e non trovi nemmeno un fiammifero per guardarti dentro.

Ci sono giorni di vento,
in cui tutto ti trapassa con una leggerezza sconcertante.
Non è indifferenza, non è lobotomia dell’anima.
Nei giorni di vento guardi il mondo con uno sguardo meno ruvido, certo che qualcosa cambierà.
Forse echi di venti lontani, di altre culture, di altre vite.
Nei giorni di vento tutto appare possibile, anche le svolte positive.

Ci sono giorni di cristallo,
dove riesco a vedere tutti i riflessi, le geometrie che lo spettro di luce rifrange.
Nei giorni di cristallo mi perdo nei riflessi.
Quelli dei suoni, trasportati dal suono delle parole, dalle melodie della voce.
Quelli dei pensieri, che leggo scritti sulla pelle come pergamene orientali.
Quelli delle speranze, che disegno nell’acqua, come cerchi concentrici.
Quelli del tempo passato.
Del presente, che vorrei godere in ogni singola sfaccettatura.
Quelli del futuro, che vorrei stringere con queste mani.
E non smettere mai di leggere i mille riflessi…
Negli occhi tuoi.











26 giugno 2009

Gay o etero?


- Quando ti sei accorto di essere gay? –

La solita domanda che da anni mi viene posta.

- Esattamente quando tu ti sei accorto di essere etero – rispondo.

Probabilmente, già nel momento del concepimento, il mio spermatozoo era diverso da molti degli altri concorrenti.
E credo sia per questo che poi sono diventato asmatico: con tutta quella corsa e scazzottamenti per raggiungere l’ovulo, deve essere arrivato sfinito, senza fiato.
Non ho mai creduto alle varie teorie psicoanalitiche che danno come una delle cause dell’omosessualità la presenza di una madre invadente, l’assenza di un padre, o peggio ancora, episodi di “approcci omosessuali” da parte di adulti nella mia infanzia.
“C’è chi ama la vaniglia – spiegò una volta la sorella di un mio ex ai genitori, per far capire loro che essere gay era semplicemente una delle possibilità – e chi ama il pistacchio”

Ed io ho sempre amato il pistacchio.

Da quel che mi ricordo della mia infanzia – che, mi spiace per i sostenitori del Moige o delle posizioni ultra cattoliche-conservatrici , è stata un’infanzia spensierata, felice, piena di amici.
Una famiglia originale, senza dubbio, forse più libera rispetto a molte famiglie dell’epoca
( parlo dei primi anni ’70).
Madre femminista attivista nei vari movimenti dell’Udi (Unione Donne Italiane), padre attivista nell’allora PCI.
Madre artista e padre agente di commercio.
Due sorelle amate ed odiate a seconda dei momenti.
Sarei potuto diventare un ragioniere, un idraulico (e in questo caso ora sarei ricco), o un becchino ( e anche con questa professione sarei quantomeno benestante – i becchini non conoscono crisi)
Oppure avrei potuto intraprendere la carriera di cameriere, o di operaio.
Sarei potuto essere eterosessuale, sposato, con una schiera di marmocchi ormai adulti, o un marito annoiato con una moglie altrettanto annoiata.
E la solita serata di sesso nel week end.
Invece sono nato gay, felice di esserlo, innamorato di un compagno che – incrociamo le dita – spero mi accompagni per il resto della vita.
Una normale, per molti versi tradizionale, coppia di persone che si amano.

Non ho mai sognato di diventare un clone della Cuccarini né ho mai amato alla follia la Carrà, non rubavo i vestiti a mia madre né mi truccavo il viso imitando Candy Candy.
Da piccolo sognavo di diventare archeologo, veterinario, attore.
Come tutti i bambini.
Certo, non ho mai amato il calcio, ma conosco amici gay che il calcio non solo lo amano ma lo praticano pure.
Del calcio amavo solo le immagini negli spogliatoi.

I primi ricordi che svelassero – inizialmente solo a me stesso – la mia propensione verso corpi del mio stesso sesso, risalgono alle medie.
Nelle ore di ginnastica – che tra l’altro odiavo perché allora, come oggi, sono sempre stato negato per gli sport – mi sentivo euforico quando ci si trovava , tutti noi maschietti, negli spogliatoi della palestra e ci si cambiava allegramente.
Che paradiso quell’abbondanza di corpi seminudi – sebbene ancora acerbi – che non avevano timore a mostrarsi.
Mi era anche capitato di vedere alcuni corpi maschili, nudi, di adulti.
Succedeva spesso in piscina ( dove insistetti con isterismo a farmi fare un abbonamento d’ingresso) anche se poi la maggior parte del tempo la trascorrevo nello spogliatoio, ad osservare quelli più grandi di me che facevano la doccia.
Credo – senza vergogna – che prima di buttarmi in qualsivoglia approccio, trascorsi un periodo abbastanza lungo rivestendo il ruolo di voyeur ( termine elegante per definire il guardone).
Chi di noi non si è mai eccitato all’idea di poter osservare altri esseri umani mentre si facevano la doccia?
Contestualmente cominciò anche il mio apprendistato nell’arte dell’onanismo.
E se fosse vero che la masturbazione porti inesorabilmente alla cecità, ora sarei messo peggio di Mister Magoo.
E’ vero, porto gli occhiali, ma non credo dipenda da quanto ho giocherellato in solitaria con il mio apparato genitale.

Hp avuto anche io – sebbene a volte mi stupisco della cosa – alcune esperienze sentimentali con ragazze, per lo meno in giovane età.
Sapevo che ero comunque attratto dai bei ragazzi, ma convivevo tranquillamente con questo mio atteggiamento che, almeno nei primi anni, si risolveva soltanto in grandi sogni erotici e fantasie mentali.
Purtroppo non c’erano molte occasioni, in un piccolo paese di provincia, per approcciare altri ragazzi senza il rischio di beccarsi qualche cazzotto per aver valutato male la situazione.
Negli anni ho poi sviluppato – e sembra molto bene – quel senso chiamato gay radar.
Ora difficilmente mi sbaglio, tra noi gay ci si riconosce in un secondo – e non solo quando l’elemento in esame veste come Cher nello spettacolo “Divas” di Las Vegas.
E non siamo tutti come Jack di Will & Grace, né parliamo di noi al femminile.
La cosa che mi ha sempre lasciato perplesso è che quando capita di dichiarare, in tutta normalità, della mia condizione sentimentale con un uomo, se l’interlocutore è etero, e soprattutto donna la reazione è di stupore.
E non mancano di aggiungere “ …che peccato, sei così un bel ragazzo, e per nulla effemminato!
Forse che l’essere gay è prerogativa esclusiva di Divine e Platinette?
O forse perché scoprire o supporre che il tuo commercialista o il tuo meccanico possa avere in casa il calendario di “Les Dieux Du Stade “ – non ne perdo una edizione – per inciso – invece che quello della Pirelli, li mette in agitazione.
Non ci sono più i veri gay, quelli che notavi a distanza, quelli che ti rassicuravano che no, tuo marito proprio non aveva nulla che fare con loro….
Qualcuno mi sa spiegare perché non esiste moglie che non sia certissima della virile eterosessualità del marito, ma quasi ogni gay ha avuto storie di sesso – non dico d’amore – con uomini felicemente sposati?











9 giugno 2009

Quotidianità


Non ho mai amato svegliarmi tardi la mattina,
quasi fosse una perdita di tempo rimanere a letto oltre un certo orario.
Stranamente però mi sono sempre innamorato di ragazzi che amavano crogiolarsi tra le lenzuola fino all’ultimo secondo utile, per poi dover correre come pazzi per non essere in ritardo.
Cosa che avveniva regolarmente.
Ci sono diversi vantaggi nell’alzarsi presto, prima del tuo compagno.
Hai tutto il tempo per lavarti con calma, ricomporre il viso in modo che appaia umanamente accettabile, prenderti il giusto tempo per consultare le mail del mattino.
Ma c’è una cosa che più di tutte mi piace nell’essere sveglio prima che l’uomo che amo apra gli occhi:
mi piace godermi gli istanti in cui lui sta ancora dormendo, con quel bellissimo sorriso di uomo felice, le lenzuola stropicciate che gli coprono a tratti il corpo.
Mi piace guardarlo e sentire che sono fortunato; la quotidianità del risveglio accanto alla persona che hai scelto e che ti ha scelto, è uno degli aspetti più intimi della vita di coppia.
Mi piace preparare il caffè ed essere accanto a quest’uomo che non mi stancherei mai di guardare, di coccolare, di amare.
Svegliarlo con un bacio, mentre gli scosto i ciuffi ribelli dal volto, augurandogli il buongiorno.
E non capisco come non si possa considerare famiglia un rapporto così intimo, solidale, sincero.
L’ignoranza di chi ha paura che possa venire attuato un riconoscimento di famiglie differenti, è dovuta al fatto che non si concepisce la coppia come un insieme di gesti quotidiani, stupendamente normali.
Talvolta mi chiedo cosa spaventi così tanto l’Italia di oggi nel voler negare gli stessi diritti a chi non dovrebbe nemmeno avere la necessità di chiederli.
Perché poi dovrebbe essere una concessione?
Perché altri devono decidere come gestire la mia vita?
Sfiduciato ed incazzato per un paese che sempre meno scopre motivi di orgoglio, un circo di nani e ballerine, buffoni travestiti da politici, cittadini talmente responsabili di questo scempio che non posso che definire “miseri”.
Il desiderio di emigrare è forte, la vergogna di essere parte di un paese che va allo sfascio è ogni giorno più pressante.
Ma poi sento che sarebbe da vigliacchi lasciare il paese ed andarsene, senza cercare di combattere.
Ne pagheremo le conseguenze, di queste scelte politiche prese con leggerezza.
Mi fa paura scoprire quanto poco si legga nel nostro paese, soprattutto se guardando al passato vedo le lotte che sono state fatte per uscire da una dittatura.
Mi fa orrore vedere che si considera la vita come un reality di seconda categoria.
Mi fa ribrezzo sentire politici ignoranti e razzisti che inneggiano allo sterminio dei Rom, dei Musulmani, dei Gay, ovviamente.
Ma la cosa che più mi fa tristezza è vedere che ci stiamo abituando a sopportare tali soprusi come se fosse normale.
Senza più coraggio.
Senza più orgoglio.
Senza più dignità.

Mi piacerebbe svegliarmi una mattina accanto all’uomo che amo e poter vivere la nostra vita nel pieno diritto, nella consapevolezza che in caso di malattia ci si possa prendere cura uno dell’altro.
Uscire di casa mano nella mano come milioni di coppie, e questo gesto dovrebbe apparire naturale, tra persone che si amano.
Mi piacerebbe vivere in un paese, non dico perfetto, ma almeno civile.
Temo che questo paese non possa essere l’Italia, almeno per i prossimi anni.

6 giugno 2009

La stanza dietro gli occhi - 3


La stanza nascosta si sta svuotando, sempre più velocemente.
Vedo immagini riflesse negli specchi diventare sottili, fondersi con le pareti.
La paura mi riempie gli occhi, mi soffoca la voce.
Vorrei fermarli, pregarli di non andarsene.
Perchè abbiamo bisogno di loro, perchè la nostra unica salvezza è non dimenticare.
La nostra unica lezione è la memoria.
Perchè le loro vite non siano state un sacrificio vano.
Come su una giostra, li vedo girare vorticosamente.
Corpi crocefissi dall'ignoranza, impiccati dal disprezzo, bruciati dalla paura.
Sguardi che mi pugnalano attraverso palpebre chiuse.

Vorrei consolarli, raccontargli che è grazie a loro che possiamo dirci liberi.
Vorrei cullare le loro tristi nenie con il vociare di mille lingue, nelle nostre strade.
Vorrei asciugare le loro lacrime, mostrando vite felici di chi oggi può camminare mano nella mano, anche se diversi.
Vorrei mostrargli un mondo cambiato.

Ma i loro occhi sono veri, i miei una illusione.
La loro forza reale, la mia ipocrisia.

E se cammino per strada vedo visi orientali, timidi.
E i loro occhi sono così simili a quelli di antenati emigranti, spaventati dalle ombre.
E se vedo bambini tzigani, i loro occhi sono così simili a quelli antichi, dimenticati, dietro al filo spinato.

E se sento chi accusa di rubarci il lavoro, penso alla notte dei cristalli.
E se vedo chi guarda con disprezzo l'uomo che prega sul tappeto, sento la sagoma nera dell'ignoranza ingrassare la violenza, la paura.

Mille volti mi attraversano l'anima.
File interminabili di operai alla frontiera.
File impaurite ad Ellis Island, quando i nostri avi erano "il male".
Mani piccole e vecchissime, strette attorno a fili spinati.
Sapore di cavoli e piombo.
Mani che barattano oro per un sospiro di speranza.
Occhi di innocenti che sognano il sole di Lampedusa.

E a chi mi dirà che ora è diverso, che prima veniamo noi, per diritto, gli mostrerò le foto dei nostri nonni, umiliati e picchiati all'estero, accusati di stupri, furti, omicidi.
E a chi mi dirà che nelle moschee si possono annidare i terroristi, gli dirò che le nostre chiese pullulano di mafiosi, devoti e miti al cospetto dei santi protettori.
E a chimi dirà che noi siamo i migliori, gli racconterò di un signore che credeva nella razza ariana.
E a chi mi dirà che non serve a nulla protestare, uscire damucchio, gli mostrerò i volti di chi per un diritto ha donato la vita.
E a chi mi dirà che sono fatti privati se si è diversi, che non è necessario dichiararlo al mondo, gli parlerò di Matthew Sheppard, e di chi è morto, perchè diverso.
E a chi mi dirà che la società oggi è tollerante, gli dirò che non volgio tollerare nè essere tollerato da nessuno, ma il rispetto sì.

E a chi mi dirà che per combattere ci vuole coraggio, e non tutti ne abbiamo.
Risponderò che non bisogna essere eroi, basterebbe non essere ipocriti.
Perchè qualcuno prima di noi ha lottato.
Qualcuno prima di noi ha sofferto.
Qualcuno prima di noi è stato picchiato, torturato, ucciso, annientato.

E non avrò timore ad abbracciare uno straniero.
E non avrò paura a dire che non credo in Dio, ma che rispetto chi crede in qualunque Dio.
E non avrò vergogna a mostrarmi mano nella mano con l'uomo che amo, perchè il mio amore non è diverso da quello altrui.
E non smetterò mai di combattere affinchè ogni essere umano abbia la stessa dignità e gli stessi diritti.

Perchè lo dobbiamo

Per chi prima di noi ha lottato.
Per chi è stato veramente un eroe.

Per noi.



5 giugno 2009

La stanza dietro gli occhi - 2


Ci sono giorni in cui le letterature non escono dai libri.
Ma da fredde lapidi di marmo.
Pensieri incisi con grafie rigide, o racchiuse in gotiche espressioni.
Ritratti, racconti, poesie.
E centinaia di sguardi.
Parole silenziose che danzano nel vento, aliti gelidi, lacrime di pietra.
La stanza nascosta tracima di lapidi.
Nomi altisonanti, ma anche nomi sconosciuti.
Di chi ha creato arte, poesia, storia.
Ma soprattutto di chi ha lottato, per un amore, per una causa, per una libertà.
Mi investono come tende mosse dal vento, le voci.
Voci afone, che urlano i loro perchè.
Voci musicali che fanno da sottofondo ai miei pensieri.
Mi sembra di vederle, in coda, verso le camere a gas.
Un silenzio assordante, rotto solo dalle urla del vento che spezza i singhiozzi.
Schegge di gelo nell'aria.
Schegge di gelo negli occhi.
Nell'anima.
Sguardi innocenti, di bambini che non avranno mai una risposta ai loro perchè.
Occhiaia rassegnate, di chi non ha più la forza di reagire.
Di quelle voci abbiamo impregnate le ossa.
Di quegli sguardi abbiamo intrisi i tessuti.
E la nostra memoria racchiude pagine nere, che non vorremmo leggere, ma che non possiamo dimenticare.
che non dobbiamo dimenticare
Nella stanza nascosta colleziono sguardi e sospiri.
Vite troppo spesso dimenticate.
Cammino lentamente, cercando di non far rumore, per non incrinare l'aria di vetro.
Mi vesto di pagine di storia.
Sono le storie invisibili.
Le storie di chi non avrà mai un nome, nè un posto nei libri di testo.
Ma sono le storie a cui dobbiamo la nostra libertà, i nostri pensieri, i nostri progetti.
Eredito paure non mie,ma che sento graffiare come artigli.
Paura che tutto possa un giorno tornare, se non ricominciamo a combattere.
Angeli che camminano tra le pareti della stanza, rimbalzano tra polvere e silenzi.
Non hanno età.
Sento soltanto il peso dei loro sguardi, e dei pensieri.
Ho cercato di contarli, ma il loro numero cresce ad ogni battito d'ali.
Qualcuno ha il volto severo, il naso aquilino, la pelle olivastra.
Visi biblici, solcati da ragnatele di dolore.
Volti zingari, le scintille spente negli sguardi morti.
Sguardi che hanno smesso di sognare il mare, di guardare al cielo.
Dolori difficili da scorticare, dolori che sono diventati anime annientate.
Qualcuno ha il color dell'ebano, e gli occhi d'oriente.
Ci sono angeli da un'ala soltanto, e la voce sottile.
Mani strette ad altre mani, in un ultimo sospiro d'amore.
Angeli colorati, con in testa le note di un bar, e i lividi di manganelli sulla pelle.
Un angelo ha segni rossi sul collo, ricordo di una collana di corda.
Omaggio per aver amato un compagno troppo simile a lui.
Angeli dal viso di donne, segnate dalla fatica.
Profumo di mimose, e segni di ustioni sulle ali dorate.
Mi vedo riflesso nei loro occhi e i loro perchè mi attraversano cme spade.
Vorrei poter dire qualcosa, ma la voce si perde nel nulla.
Vorrei poter dire semplicemente - grazie -
Ma la voce si ferma strozzata.
Non sono le mie parole che cercano.
Nè tantomeno la mia gratitudine.
Mi guardano in silenzio, nella penombra della stanza.
Occhi che mi scrutano, forse alla ricerca di ali che non ho.
Un'esplosione, mistra di rabbia e vergogna mi riempie gli occhi.
Attorno sento lacrimare stalactiti di dolore.
Rumori di anime che evaporano, perse nel tempo, cancellate dalle memorie.
Sacrifici dimenticati.
...continua

4 giugno 2009

La stanza dietro gli occhi




Entro nella stanza.

Quella nascosta, dietro gli occhi.

Talvolta ci appoggio le emozioni, su un tavolo di cristallo.

Altre volte scaravento la rabbia, in un anglo, come stracci da buttare.

I ricordi, quelli che amo sfogliare nei giorni di pioggia, li conservo in vasi preziosi, insieme alle vecchie fotografie e ai sospiri.

Quelli tristi, invece, sono racchiusi in barattoli cupi. E hanno l'odore umido della muffa.

E' una stanza sovraffollata.

Piena di echi e di passi sul parquet.

Di pensieri, di ritagli di giornali, di immagini, colori e suoni.

Quadri dipinti, quadri pensati, quadri dimenticati.

Disordinata, come una vecchia soffitta.

Ricca, come una biblioteca senza confini.

Ci posso trovare di tutto, anche dopo secoli, perchè ogni giorno ci aggiungo qualcosa.

E qualcosa prendo in prestito, ogni volta.

La stanza ha innumerevoli angoli, che crescono e si spostano di continuo.

Come la memoria.

Ci sono angoli bui, dove non oso addentrarmi.

Angoli pieni di sinistri silenzi, di respiri trattenuti.

Sono gli angoli delle vite rubate, perse, dimenticate.

Angoli misteriosi, ricchi di scrigni e volumi non ancora sfogliati.

Ci sono angoli che respingono, che non si lasciano avvicinare.

E altri che con fascino perversosi avvolgono in spire di desiderio.

Un'enorme libreria, archivio di ciò che sono e di ciò che è stat prima di me.

Perchè in ogni vita ci sono frammenti di altre.

Volumi dei sogni, dei progetti.

E un volume particolare, con la copertina spessa, rovinata dall'usura.

Il volume dei perchè.

Qui ripongo milioni di domande, spesso senza risposte, talvolta con risposte parziali.

Un volume in continua espansione, come l'universo.

Perchè le domande non hanno mai fine,e si alimentano l'una con l'altra.

Come ombre, si allungano o scompaiono.

Come i pensieri, si nascondono tra gli interstizi delle parole.

Sotto le unghie della conoscenza.


Ci sono giorni in cui le domande esplodono senza preavviso.

Scappano da ogni fessura, scivolano lungo le pareti decorate, si aggrovigliano su colonne di fumo.

Come un bambino curioso che ad ogni risposta chiede un ulteriore perchè.

Succede ogni volta che la cronaca mi aggredisce, dalle pagine dei giornali.

Ogni volta che vorrei incidere nei muri i pensieri più duri.

Quelli scomodi.

Quelli veri.

Perchè il problema non sono le frasi dette, ma quelle taciute.

Perchè il peso non ricade solo sulle azioni commesse, ma anche su quelle evitate.

Ci sono giorni, ore, minuti, pesanti come macigni.

Complice la paura, talvolta.

Ci sono situazioni che se le sfuggi è meglio, ti dici.

Che non porteranno a nulla, ti illudi.

Ma poi eviti lo sguardo negli specchi, perchè lì non hai armi per vincere.

Il giudizo, quello intimo e personale, fende l'aria come una mannaia.


L'abbiamo fatto tutti, prima o poi.

Convincerci che le nostre azioni non siano una scelta, ma una condizione obbligata.

Ma in fondo sappiamo che la realtà è un'altra.


abbiamo sempre una scelta


Parole silenziose, pronunciate soltanto nella mente.

Sguardi abbassati, per non sentirci travolti.

C'è stato che ha finto di non vedere cosa succedeva ad Auschwitz.

E non è meno colpevole.

Situazioni diverse, pesi diversi.

Ma ogni giorno ti chiedi perchè.

Perchè seguire l'onda e fingere che le cose siano differenti.


...


continua...

3 giugno 2009

Una, dieci, cento vite



Amava rifugiarsi nelle pagine.

Giocava con le sfumature delle parole, assaporandone i suoni, le variazioni,

i colori.

Talvolta aveva l'impressione di esserne rapito, e una sensazione di immortalità, seppur momentanea, lo rendeva felice.

Felice di non doversi accontentare, mai, della sola vita reale.

Ogni qualvolta varcava quella porta - che nella sua immaginazione aveva le sembianze di un grande, antico portone cesellato, con enormi battenti a forma di testa di leone - temeva, forse in cuor suo sperava - di non farne ritorno.

Perchè oltre quel portone c'erano milioni di vite, milioni di anime che poteva indossare a piacimento.

Poteva sentirsi un cavaliere errante, o un esploratore. Un detective o un semplice liceale.

Poteva sentirsi uomo, donna, bambino o vecchio.

Ed ogni vita era la sua, ogni parola letta sembrava uscire dalla sua bocca, dai suoi pensieri.

In quel mondo sapeva di poter agire senza paura, senza giudizio, senza false morali.
E fu così che scoprì, per la prima volta, l'amore.
Accadde leggendo un libro che sarebbe rimasto nella sua memoria, in modo indelebile.
Il libro in questione era "La lingua perduta delle gru", di David Leavitt.
Era il primo romanzo in cui poteva riconoscere personaggi simili a lui, ma che, a differenza della realtà che viveva nel piccolo paese di provincia, vivevano la propria natura senza paura, senza vergogna, senza dover subire il giudizio altrui.
Certo, sapeva di essere in una finzione, in un mondo fittizio, ma quella lettura gli fece prendere una diversa coscienza di se stesso.
E fu da allora che cominciò, anche nella vita reale, a combattere, senza paura, per un mondo più libero.
Per poter dire "Io sono come tutti gli altri, e come tale pretendo gli stessi diritti, la stessa dignità!"
E fu da allora che comprese che i libri erano molto di più che pagine scritte, che storie narrate, che passatempi.
Scoprì che vita e letteratura potevano fondersi, potevano plasmare ideali e sogni, infondere forza e determinazione.
E fu da allora che non ebbe più timore di dire "Ti amo" ad un ragazzo del suo stesso sesso.
Perchè il suo amore non era diverso da quello di mille altri ragazzi e ragazze.
Perchè quando specchiava i suoi occhi negli occhi di chi amava, vedeva passare immagini di mille romanzi, di mille vite vissute e di quante ancora non inventate.
...
Ed anche ora, trascorsi diversi anni, chiuse il libro tenendo l'indice tra le pagine, sospirando.
Si guardò attorno, cercando tra la gente che passava, uno sguardo che lo avrebbe fatto innamorare.
Come in una nuova vita.
In un nuovo romanzo.



2 giugno 2009

Uno sguardo tra la folla



Il caldo era quasi insopportabile.
Camminavo lungo la Fifth Avenue in un pomeriggio d'agosto - periodo allucinante per essere a NY.
Purtroppo però era anche l'unico periodo in cui potevo permettermi di andare a lavorare nella grande mela, visto che in Italia si era in ferie.
Camminavo celermente, nonostante il caldo, per non arrivare tardi all'appuntamento, con l'immancabile cravatta annodata ed un rivolo di sudore che mi scorreva lungo la schiena.
Sapevo però di non poter presentarmi dal mio cliente in abbigliamento informale, gli americani sono molto attenti alla forma, quando si tratta di lavoro.
Ogni isolato cercavo di rifugiarmi per qualche minuto all'interno di qualche magazzino, giusto per crogiolarmi nell'aria gelida dei condizionatori che creavano un piacevole sbalzo termico di decine di gradi tra la temperatura interna e quelle in strada.
Ero comunque in anticipo, come sempre.
Lo so, è una mia mania, un difetto,se volete. Ma non tollero i ritardi, con il risultato che spesso giungo agli appuntamenti con parecchio anticipo.
Il che, detto tra noi, non sempre è un male.
Arrivando in anticipo c'è sempre il tempo per riordinare i pensieri, per bersi un caffè ( cosa che vi sconsiglio a NY) o per osservare la gente che passa davanti al nostro campo visivo.
Anche quel pomeriggio d'agosto ero giunto con quasi mezz'ora di anticipo al luogo dell'appuntamento.
Dovevo vedermi con un responsabile di una grande azienda.
Non volevo arrivare in ritardo,ma non potevo neppure presentarmi con mezz'ora di anticipo.
Mi soffermai pertanto nei pressi dell'ingresso del palazzo, mi asciugai i rivoli di sudore che come un fiume in piena mi solcavano il viso e cercando di ritrovare un aspetto vagamente umano, rimasi appoggiato ad un muro, tenendo la cartella con i miei lavori sul marciapiede, tra le gambe, accendendomi una sigaretta.
Di fronte a me un incrocio, decine di taxi gialli strombazzavano per guadagnare qualche metro nel traffico caotico della città.
I passanti, una moltitudine di etnie miste ( una delle cose più affascinanti di questa grande città) si muovevavo indaffarati come formiche.
Immprovvisamente dalla mia sinistra vidi sbucare un bellissimo ragazzo in rollerblade.
Sembrava essere uscito da uno di quei telefilm che da ragazzini ci lasciavano con gli occhi sognanti.
Era giunto sui suoi pattini facendo gincane tra le auto, a torso nudo, con uno zaino sulle spalle.
Il mio sguardo gli fece una radiografia, la mascella mi cascò a terra, adorante.
Non avevo visto da tempo un essere più bello ed affascinante!
Rimasi come un ebete con la bocca semiaperta, lo sguardo fisso a quel corpo, mille pensieri che si rincorrevano nella mente.
Avrei dato qualunque cosa - mi dissi - per un suo sorriso, per uno sguardo d'intesa, per un cenno.
Sarà stato un sesto senso, o una casualità, non lo saprò mai.
Ma un secondo prima che l'incrocio si liberasse e quell'esemplare divino riprendesse il suo cammino, girò il suo volto verso di me.
Per un decimo di secondo i nostri occhi si fissarono.
Abbozzò un sorriso.
Scomparve nella folla.
...

31 maggio 2009

Le vite degli altri



Parigi.

Una giornata calda, ma non di quelle afose d'estate. Piuttosto una tiepida giornata di primavera.

Di quelle in cui ti viene voglia di perderti crogiolandoti al sole, su una panchina o nel prato di un parco o su un muricciolo che guarda la Senna.

O ad un tavolino di un Bistrot, immerso nei pensieri.

Cosa sta leggendo il ragazzo seduto al Bistrot?
Quale il suo nome? Quale la sua storia?
Sta realmente leggendo o finge di occupare il tempo in attesa di un incontro, per non apparire teso?
Forse uno studente universitario, meno probabilmente un turista.
Se fosse un lavoratore Parigino perchè è seduto al tavolo invece che al lavoro?
Il ragazzo che giunge da destra ha qualcosa in comune con lui o sono due perfetti estranei?
Due amanti che si riconciliano dopo un litigio?
Due amici che semplicemente si trovano per un caffè?
Ma se anche fossero estranei...perchè non ipotizzare una storia nata dal caso, da un fortuito incontro in quel bar?
Uno dei giochi che mi ha sempre appassionato e che mi accompagna da quando ero ragazzino, consiste nell'osservare momenti quotidiani di perfetti estranei e costruirci attorno una storia.



Questa abitudine è poi proseguita negli anni e, con l'avvento della digitale, ha reso ancora più interessante lo sviluppo del gioco.
Talvolta mi piace estrarre a caso alcune foto realizzate durante i miei viaggi ( foto del tutto simili a quella pubblicata in questo post, foto di persone, nella propria quotidianità), disporle sul tavolo- per così dire ( anche se in genere si tratta di una disposizione virtuale, una sorta di file temporaneo) ed inventare una serie di collegamenti tra persone che probabilmente nella vita non si sono mai viste nè mai si conosceranno.
Forse.
O forse no.
Perchè come è vero che non credo nel destino, credo però molto nella casualità degli incontri, nel fascino delle coincidenze.
Ognuno di noi, ne son certo, può contare una serie innumerevole di esperienze, di amori, di incontri nati dal caso, in situazioni inimmaginabili nè programmabili.
E questo è il grande mistero delle alchimie che regolano i nostri rapporti.
Perchè abbiamo spesso un ideale fisico-estetico-intellettuale di amore che da sempre ci occupa il cervello ( il nostro personalissimo principe azzurro) e poi scopriamo di cadere ai piedi, senza respiro, con il battito del cuore che - siamo sicuri - sentono per tutto il quartiere, per un ragazzo che è totalmente diverso da come avremmo ipotizzato il nostro amore della vita?
Attenzione, ho scritto diverso, non inferiore.
Sia chiaro, quello che voglio sottolineare è che poi troviamo splendidi i suoi difetti ( i nostri lo sono già,ovviamente), troviamo affascinanti le sue manie.
Ci rendiamo conto che l'amore con la A maiscola nasce più frequentemente ad un tavolino di un Mc Donald, davanti ad un BigMac, con le dita impiastricciate di Ketchup ( e potete immaginare quanti pensieri indicibili mi vengono quando lo vedo così ricoperto dai salsa) piuttosto che in un locale alla moda, molto chic ed esclusivo.
Perchè l'incontro più eccitante avviene nei luoghi di tutti i giorni, dove possiamo apparire come realmente siamo.
Evviva quindi i fast-fodd , i supermercati, l'Ikea ( anche se poi qui ci si va quando si è già in coppia).
Per non parlare di come sia intrigante far arrossire il timido ragazzo che incrociamo nelle corsie del supermercato, quando si accorge che ad ogni svolta di scaffale ritrova i nostri occhi, e il nostro sorriso.
Corteggiare ed essere corteggiati nei luoghi quotidiani ha una valenza nettamente superiore rispetto al grande appuntamento al ristorante a 5 stelle.
Per prima cosa non devi preoccuparti di cosa indossare, di come mettere i gomiti al tavolo, di come cavolo ( anche se mentalmente la parola che pronunci non p esattamente ..cavolo) si mangia quel piatto che ho ordinato perchè faceva tanto figo e che non so nemmen cosa sia...
Insomma, a farla breve, credo che la vita reale, quella di tutti i giorni, sia molto, molto più entusuiasmante della vita d'èlite, dove tutto è costretto da regole e bon-ton.
Mi spiace soltanto che nel paese in cui sono cresciuto non ci fossero lavanderie a gettoni...














30 maggio 2009

Odio L'estate



Avete presente le pubblicità di Abercrombie & Fitch?


Beh, se le ricordate i casi sono due: o siete come i modelli fotografati da Bruce Weber, oppure vorreste essere come loro.

Io purtroppo non assomiglio nemmeno nei talloni a quel tipo di modello, e mi sono consumato gli occhi, sin da ragazzino, su quelle fotografie.
Ammettiamolo: la natura è stata avara da quel punto di vista, con me.

Probabilmente il giorno in cui è stata assemblata la scatola dei pezzi di montaggio che mi riguardava, ci doveva essere in corso una sorta di sciopero generale.

Nella confezione (che non ricordo - ovviamente - ma che so doveva essere ben curata, originale, di certo non comune) erano stati avari di polvere della crescita.
Nonostante le mie speranze, non ho mai superato la soglia del metro e settanta - alcuni metri da sarta, subdoli, mi ricordano che sono forse anche un paio di cm in meno....

Il mio anno di nascita è stato un anno pieno di avvenimenti, e non solo perchè sono venuto al mondo io (sebbene in anticipo di qualche mese sulla tabella di marcia di mia mandre), ma anche perchè per la prima volta l'uomo andava sulla Luna.

Se non siete totalmente inetti nella matematica, avrete pertanto capito che faccio parte di quella schiera, numerosa (no,non di chi è andato sulla Luna), di quelli che chiamano "splendidi quarantenni".


E qui sta il punto.


Se per "splendido" intendiamo quell'uomo alto come l'armadio della mia camera, con un corpo che avrebbe fatto invidia ad un gladiatore, con pettorali talmente sodi e lucidi da dover guardare con gli occhiali da sole per non venirne abbagliati, un ventre così piatto che più piatto non si può....

...allora cestinatemi dalla cartella "Splendidi esemplari di quarantenni".

Con questo non voglio dire che sono un esemplare da baraccone nè tantomeno un essere alieno.

Negli anni mi sono accorto sempre più che faccio parte di quella stragrande maggioranza di ragazzi che alla dieta a base di Jocca preferiscono la Tagliata ai funghi, o una bella Fiorentina.

Le palestre che abbiamo frequentato sono solo quelle viste nei film porno e la ciclyette che abbiamo acquistato dopo mesi di lotta con lo specchio e la bilancia, è parcheggiata inerme nell'angolino della camera da letto.

Devo riconoscere però che come appendiabiti è funzionale.

Come tutti gli anni, a gennaio siamo pieni di buoni propositi (visto che l'estate è ancora lontana).

Programmiamo camminate mattutine, spuntini dietetici, corsi di nuoto, arriviamo anche ad ipotizzare l'iscrizione ad una palestra ( cercando però di capire quali siano gli orari migliori in cui non incontrare chi la palestra la frequenta da anni...e con successo).

Poi però troviamo sempre qualcosa di più importante da fare, e cominciamo a rimandare il tutto.

-Sono troppo stressato dal lavoro per poter cominciare oggi!

-Devo assolutamente terminare di leggere i 25 volumi appena ordinati online!

- Non posso di certo fare footing senza un adeguato abbigliamento!

E quindi ci troviamo con il panico d'inizio estate, quando è ormai tempo della fatidica prova costume.

L'altezza è una questione ormai persa:non possiamo nemmeno puntare su scarpe con rialzo (che in tutta sincerità non ho mai pensato di indossare) - visto che gireremo a piedi nudi o con qualche paio di sandali, al massimo (non sopporto gli infradito - chiamatemi pure razzista, ma detesto quel tipo di calzatura).

Il problema vero sono le maniglie dell'amore, che tanto inteneriscono le fidanzate (per chi ne ha una) e talvolta anche i fidanzati (per chi ne ha almeno uno).

I lardominali che cerchiamo di mostrare il meno possibile, nascondendoci sotto magliette abbondanti (abbiamo sempre amato i vestiti comodi!).

E se andremo sulla spiaggia, eviteremo di uscire allo scoperto quando esemplari alla CK gironzolano pavoneggiandosi nella nostra zona.

Sappiamo benissimo che alla fine qualche elemento in più di interesse lo abbiamo noi: di certo autoironici, bravissimi cuochi, gente di compagnia e impegnati politicamente.

Sappiamo essere romantici e coccoloni, ma anche cinici bastardi, perchè abbiamo imparato che il mondo è una dura lotta.

Per farci notare non abbiamo mai potuto contare sull'effetto "copertina ", ma abbiamo conquistato con le nostre parole, con le nostre risate, con la nostra anima.

Guardo con grande invidia - inutile nasconderlo - chi ha un corpo che fa sognare, ma quando poi stringo la mano di chi mi ama e vedo che i suoi occhi sono solo per me.... mi rendo conto che chi è più fortunato, alla fine, sono io.